Senza Confini



Domenico Fetti 1589 - 1623<br>Il Buon Samaritano



Frankfurt Am Main
Omelia di don Danilo Dorini del 10 luglio 2016

Dal dipinto di

DOMENICO FETTI, detto IL MANTOVANO

Roma ca. 1589 - Venezia 16 aprile 1623

“IL BUON SAMARITANO”

1618-21

Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister, Staatliche Kunstsammlungen

 

Per la comprensione del Vangelo di oggi ci rifacciamo ad un dipinto di un pittore italiano, naturalista, del ‘600 che attualmente sta alla Gemäldegalerie di Dresda. Il pittore è Domenico Fetti che operò molto a Mantova alla corte dei Gonzaga, ove si ispirò a Giulio Romano, e per questo viene detto il Mantovano.

Stiamo al brano di Luca (10,25-37)

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?».

Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?».

Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il tuo prossimo come te stesso.».

«Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?».

Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui.
Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.

Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?».

Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui».

Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

La domanda del Maestro della Legge suona cosi: “Chi è il mio prossimo?”.
Gesù gli risponde capovolgendola. Questo significa che porre la domanda in modo corretto è già aver risolto il problema al 50%.
Qui la domanda non è formulata correttamente. Per Gesù ci si deve chiedere come noi possiamo farci prossimo agli altri perché il prossimo c’è già: io me ne devo accorgere (“vedere”) e avvicinarmi a lui.

Quando, dove, come… in che modo farmi prossimo? Questo avrebbe dovuto chiedere il Maestro della Legge! Non ci viene richiesto di risolvere il problema della fame nel mondo, ma di non buttare via il cibo.
Alla fine non saremo accusati di non aver evitato femminicidi, ma ci verrà “rinfacciato” di non aver avuto rispetto della donna.

A chi farmi prossimo? Al tempo di Gesù c’erano varie teorie: chi diceva “solo ai familiari”, per altri occorreva includere anche i parenti o gli appartenenti al proprio clan; altri ancora estendevano tale concetto a tutti gli ebrei. Per Gesù vale il principio dell’universalità in due sensi:

• Tutti possono e devono farsi prossimo secondo le proprie possibilità. Ne è un esempio il Samaritano: appartenente ad un popolo pagano, dunque peccatore, da tenere lontano e stare alla larga “non portare a casa un Samaritano”;
• Tutti sono oggetto di prossimità perché nessuno è così forte ed autosufficiente da non aver prima o poi bisogno dell’aiuto degli altri. “Lasciarsi amare, farsi voler bene, permettere agli altri di volerci bene…” vale tanto quanto l’amare ma è più difficile da accettare.

Andiamo al quadro. Questa raffigurazione del Buon Samaritano appartiene alla serie forse più celebre fra quelle dipinte da Domenico Fetti. Ideata e realizzata tra il 1618 e il 1621 consiste nelle Tredici Parabole evangeliche, redatte per lo studiolo di Isabella d'Este; che a quel tempo il duca Ferdinando aveva trasferito dal pian terreno di Corte Vecchia a Palazzo Ducale, nel proprio appartamento cosiddetto del Paradiso.
Senza qui addentrarci nella complessa storia del ciclo ci limitiamo ad osservare che del nostro dipinto sembra che l'artista avesse fatto un soggetto seriale. Su internet se ne trovano almeno cinque versioni.
Tre, in formato verticale, presentano solo il centro dell’episodio e si trovano alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid mentre l’ultima è stata “battuta” ad un'asta di Christie's.
In formato orizzontale sono invece le due composizioni più elaborate: quella custodita al Boston Museum of Fine Arts (dove mancano le rovine sulla destra) e la nostra di Dresda.
Questa molteplicità di opere sostanzialmente con lo stesso soggetto non deve sorprenderci.
A capo di una attivissima bottega, è noto che Fetti si giovava di un manipolo di collaboratori, sovente impiegati a replicare composizioni da lui ideate. Tra essi vanno innanzitutto ricordati la sorella Lucrina e il padre Pietro. Ma rammentiamo, oltre forse al fratello Vincenzo, anche il pittore Motta (da identificarsi probabilmente con Camillo), insieme con il mantovano naturalizzato veronese Giovanni Battista Barca, con il veronese Dionisio Guerri e il francese Michele Mattei di Borgogna.
Era una bottega che lavorava a pieno ritmo, e sotto la guida del titolare, licenziava dipinti che, pur non essendo eseguiti direttamente da lui, ne recavano tuttavia l'imprimatur di autenticità, operando così in modo analogo a quello di altri importanti studi seicenteschi, come, ad esempio, quello di Rubens.

Venendo al soggetto, sulla destra, in primo piano, c’è una pianta quasi rinsecchita, ma... è una croce e, all’incavo dei due rami, sembra di riconoscere… una faccia.
A chi farmi prossimo? “un uomo…” ossia a una persona che in quel momento aveva bisogno di aiuto.
Chi è il bisognoso? Colui che oggettivamente, nonostante la sua volontà e il suo impegno non ce la fa a stare in piedi da solo; colui che la vita ha inchiodato ad una difficoltà che ora da solo non riesce a superare, colui che – non discutiamo delle ragioni – rischia di farsi schiacciare dal peso dei guai in cui si è cacciato o che gli sono caduti addosso e dai quali fatica ad uscire senza una mano amica.
Perché farsi prossimi? “lo vide e ne ebbe compassione”: il verbo usato in greco richiama le viscere e il cuore, ossia un ribollimento interiore, uno scossone esistenziale. È il verbo applicato all’azione di Dio nei confronti del suo popolo; è lo stesso verbo usato per indicare il sentimento provato da Gesù davanti alla bara del figlio della vedova di Nain. In dialetto milanese si direbbe: “ga se strengia il cor!”.
La stretta al cuore non porta il Samaritano a limitarsi a dire: “Poverino, cosa ti hanno fatto quei cattivoni, mi dispiace tanto per te, fatti coraggio!”… bensì ad operare concretamente.
La stretta al cuore si esplica nel:

1. Farsi vicino
2. fasciare le ferite con olio
3. caricarlo sull’asino, come si vede bene nel quadro
4. portarlo alla locanda
5. pagare

In una parola: “Si prese cura di lui!”. Fino alla locanda… lui a piedi e il malcapitato in groppa all’asino: davanti alle urgenze come alle necessità altrui le mie comodità passano in secondo piano.

Alcune osservazioni veloci che meriterebbero un maggiore approfondimento.

I due son diventati amici? Non si sa, forse… Il vangelo non lo dice: il bene fatto vale in sé e non dipende dalla riconoscenza altrui.

Il Samaritano non ha interrotto la sua attività ma ha trovato il tempo per… Gli altri due certamente non avevano tempo. A chi chiedere un favore? A chi è già molto impegnato… Perché chi ha tempo è troppo impegnato a pensare come far passare il tempo e dunque risponde negativamente.

“Lo porta alla locanda…” ossia lo affida a persone più competenti di lui; lui si era improvvisato infermiere fasciandogli le ferite, ora si fa da parte ma non lo abbandona. Difatti: “ciò che spenderai in più…”.

Dove sta la differenza tra il Samaritano e gli altri due? Nella direzione dello sguardo: c’è modo e modo di guardare come pure di leggere.
Notare la domanda di Gesù: “Cosa sta nella Legge?” "Come leggi?" Come e non cosa, perché dal modo di leggere si intuisce se tu comprendi o no ciò che stai leggendo.
Torniamo a guardare il dipinto.
Ci sono due asini. Uno, in primo piano, è rivolto verso di noi - spettatori; un secondo, sullo sfondo, se ne sta andando via e dunque è ritratto da tergo.
Il cielo è un tramonto o un’alba? Secondo me entrambi!

Se io guardo sempre solo davanti a me, prima o poi si vedranno la mia schiena e il resto, ma vado incontro al tramonto (l’azzurro è il primo colore del cielo, oltre le piante, che il personaggio in groppa all’asino sullo sfondo incontra).
Invece, se io guardo accanto a me, a destra come a sinistra, alla persona che accosto si apre uno spiraglio di luce, di speranza.
Nel dipinto non si vede il volto del Samaritano, ma del malcapitato che guarda verso il cielo giallo-rosa dell’alba del suo futuro, seppur ancora faticoso e incerto.

Termino citando il Papa: in visita al Centro Astalli di Roma nel settembre 2013: “Con l’accoglienza e la fraternità si può aprire una finestra sul futuro e… Si può avere ancora un futuro… Accogliere con attenzione la persona che arriva significa chinarsi su chi ha bisogno e tendergli la mano, senza calcoli, senza timore, con tenerezza e comprensione come Gesù si è chinato a lavare i piedi agli apostoli”.