Oggi terminiamo l’anno liturgico e il Vangelo di Matteo ci parla del giudizio finale esercitato da Gesù alla fine dei tempi (Mt 25, 31-46). Vediamo come un pittore anonimo nei primi decenni del 1400 ha dipinto questo brano di Vangelo nella chiesa dell’Annunziata a Santa Maria dei Goti (BN).
Dapprima diamo uno sguardo generale.
In alto, la Parusia: Cristo giudice nella mandorla, seduto su un arcobaleno che fa da trono-seggio, vestito con una tunica sacerdotale e un manto regale, scortato da serafini e con ai lati gli apostoli. Purtroppo questa parte è scomparsa: si notano Pietro e Andrea e, alla sinistra di Gesù, Paolo.
Gesù ha uno sguardo fisso, il volto incorniciato da un’aureola; è il Cristo vincitore della morte, il risorto.
Mostra le ferite della passione: il Cristo giudice è il risorto dopo aver sofferto ed essere morto.
Le mani: la destra offre il palmo agli eletti in segno di accoglienza, mentre la sinistra è rovesciata, in segno di rifiuto… dei dannati.
A conferma, sotto i piedi degli apostoli stanno due cartigli riportanti due frasi del Vangelo di oggi; a destra “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” e a sinistra “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Sotto i piedi di Gesù, invece, c’è un altare con sette candelabri e gli strumenti della Passione: il libro dell’Apocalisse dice che Gesù apparve a Giovanni in mezzo a sette candelabri d’oro (Apocalisse 1, 12-13). Significativi sono gli strumenti della Passione perché rappresentano i criteri di giudizio di Gesù: per la nostra fede nella croce saremo giudicati.
San Giovanni della Croce (1542-1591) scrive che “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” ma, bando al sentimentalismo, sul bene compiuto e non solo espresso a parole. Il bene gratuito… non esibito per essere contraccambiato e tanto rinfacciato ad ogni piè sospinto. “Fai il bene e dimenticatelo”… aggiungiamo “E non pentirti di averlo fatto, anche se non ha sortito gli effetti sperati e necessari”.
Ai lati dell’altare Maria e Giovanni Battista, i testimoni primi dell’incarnazione di Gesù. Difatti, sotto l’altare, sono raffigurati… i santi innocenti la cui festa cade il 27 dicembre: sono nudi perché non hanno ancora ricevuto la veste bianca, il giudizio è ancora all’inizio, non ancora compiuto.
Ora consideriamo la parte sinistra dell’affresco, quella che sta alla destra di Gesù. Troviamo un angelo con una tuba, una specie di tromba. È simmetrico all’angelo di destra: entrambi invitano a presentarsi al giudizio, come recita il cartiglio che sembra uscire dalla tuba stessa. È una citazione di Mt. 24, 31: “Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli”. Vediamo la risurrezione dei morti, corpi incorrotti, sembrano colti di sorpresa dal suono della tuba.
Più sotto la Gerusalemme celeste, una città murata con torri. Al centro Abramo, Isacco e Giacobbe ai lati come insegnava l’arte bizantina. Abramo accoglie nelle sue braccia alcune persone. Si veda il Vangelo di Luca (16, 22) e proposito del povero Lazzaro: alla sua morte “fu portato dagli angeli nel seno di Abramo”. Due schiere di beati stanno per entrare in città: persone di ogni ceto sociale, uomini e donne, papi, re, mercanti…; alcuni sono identificabili, altri no…
Passiamo a destra, ossia alla sinistra di Gesù.
Qui il pittore risponde alla domanda: chi va all’inferno e perché?
Osserviamo attentamente. L’arcangelo Michele, sopra una roccia, sta “pesando le anime” ossia sta confrontando le azioni buone ecattive di una singola persona… a ricordare che il giudizio è puramente personale e non ci si può nascondere nella massa.
Accanto a lui sette figure femminili: le tre virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) e le quattro Cardinali (Prudenza, Fortezza, Giustizia e Temperanza) che stanno spingendo nel fuoco dell’inferno i loro contrari, i vizi cioè le cattive abitudini che stanno appese al collo di altre sette donne.
Dunque, dice il pittore: va all’inferno chi alle virtù preferisce i vizi, cioè quelle cattive abitudini che ripetute nel tempo fanno parte della sua personalità come un vestito – habitus.
Notate il particolare: la Prudenza è stata sostituita dall’Umiltà, il cui contrario è la Superbia. Questa era un’idea diffusa da tempo: il primo gradino, la condizione per vivere da virtuosi è l’Umiltà, ossia il riconoscersi per quello che si è.
L’inferno vero e proprio è un albero rosso, secco, al quale i dannati sono appesi con quella parte del corpo che ha reso possibile il compimento del peccato, il vivere nel vizio, secondo la legge del contrappasso.
Ad esempio: l’omicida è impiccato, un diavolo sta tagliando la lingua al bestemmiatore… e il lussurioso? Questo lo lascio trovare a voi.
Al centro sta Lucifero, piedi, mani e collo incatenati; pure lui tiene in braccio re, nobili… riconoscibili dai loro copricapi, hanno un’espressione implorante… le mani giunte.
Si scorge pure un drago alato che emette fiamme dalla bocca e sta divorando alcune persone; pure la coda ha una piccola testa che… divora. Messaggio: il male non è mai sazio.
Ora viene la parte più geniale.
In basso, a destra, ci sono i peccatori dei mestieri, nudi, sottoposti ai tormenti ma raffigurati nell’atto di svolgere le azioni compiute in vita e per le quali sono stati condannati.
Un notaio e un giudice stanno davanti a un tavolo colmo di libri e carte… lì dove hanno falsificato testamenti e documenti. Un banchiere mette sul tavolo delle monete… come quando nel cambio ingannava i clienti. Poi ci sono ancora un oste che vendeva vino annacquato, un calzolaio che usava pellame di scarsa qualità, un mugnaio, un macellaio…
Un poeta campano contemporaneo del pittore scrisse:
“Qualunque artefice sia che non fece
L’arte diritta come deve fare
In sempiterna secula là jace”.
Chi va all’inferno?
E prima ancora, chi già, qui ed ora, crea situazioni di inferno?
Chi fa il male, svolgendo in modo scorretto la propria professione; chi fa del proprio mestiere uno strumento di abuso e di male per gli altri e… per sé.
Guardando queste immagini mi vengono in mente quelle persone, non poche, che di fronte al Vangelo dicono: “Queste cose vanno bene in chiesa… ma la vita è un’altra cosa…”.
Certamente il nostro pittore anonimo non era una di queste persone: già seicento anni fa denunciava la conflittualità sociale che nasce dal compimento scorretto del proprio lavoro, se non addirittura del suo mancato svolgimento.
Ultima osservazione.
Accanto a Satana, alla sua destra, si scorge un usuraio a cui un diavolo sta facendo bere… il metallo fuso delle monete e si intravede pure una figura femminile con una ampolla di profumo e uno specchio nelle mani, i simboli della seduzione; è una prostituta.
Sono staccati dagli altri, separati.
Perché?
Usura e prostituzione sono condizioni negative in sé stesse e non professioni che possono essere svolte bene o male; non ci sono un modo corretto e uno scorretto di fare l’usuraio o la prostituta perché è peccaminoso in quanto tale.
Termino.
Come in altri casi, l’affresco stava sulla parete interna della facciata della chiesa, visibile dunque all’uscita: i fedeli erano così sollecitati a riflettere sul proprio comportamento e sulle conseguenze “eterne” di esso.
Però, l’immagine grandiosa di Gesù era un invito ad appellarsi alla misericordia divina e l’affermazione del primato di Gesù su tutti e tutto, male compreso.