Pochi giorni dopo aver ascoltato la musica di tre fra i più noti figli musicisti di Johann Sebastian Bach intercalata a quella del loro illustre genitore, MiTo 2016 propone nuovi confronti e, soprattutto, una nuova sfida molto particolare.
Luogo della “disfida” è il Teatro Dal Verme: per chi scrive il preferito in città perché la sua ottima acustica è accompagnata dal non secondario requisito della comodità degli spazi fra le sue poltroncine: che non è di tutte le sale per musica Milanesi, come ben sa chi le frequenta.
Attori sono l’Orchestra I Pomeriggi Musicali diretta da Alessandro Cadario, al suo debutto a MITO SettembreMusica nella nuova veste di direttore ospite principale dell’orchestra.
Quanto alle armi della “singolar tenzone”… le si scopre scorrendo il programma del concerto che accosta capolavori di Johann Sebastian Bach alla musica di un suo ulteriore figlio che potremmo, per così dire, definire quantomeno “improprio”.
Del primo ascoltiamo due “numeri 3”: la Suite n.3 in re maggiore per orchestra BWV 1068 ed il Concerto Brandeburghese n.3 in sol maggiore. Senza ripetere qui quanto già ricordato a proposito della sua musica strumentale in “Sfida fra generazioni nella famiglia Bach”, per i lettori non a conoscenza delle diverse prassi esecutive di questo repertorio, rispetto al concerto appena citato - proposto dall’Academia Montis Regalis: formazione che lo esegue con attenzione pienamente “filologica” per ogni suo aspetto - notiamo che l’Orchestra I Pomeriggi Musicali si dispone anch’essa con violini e viole che non suonano da seduti ma in piedi, come avveniva al tempo in cui questa musica è stata composta.
Trattandosi tuttavia di un’orchestra sinfonica, che quindi non suona esclusivamente il repertorio barocco ma spazia su tutto l’arco della storia della musica, fra alcuni dei suoi orchestrali e quelli della Montis Regalis, si colgono altre differenze “a vista”. I violoncellisti appoggiano lo strumento a terra grazie al puntale metallico montato sulla sua fascia inferiore (quello dei barocchisti, invece, non ha il puntale e viene sostenuto stringendolo fra le ginocchia - foto a lato).
Da parte sua il contrabbassista suona con un archetto dall'impugnatura molto particolare: alta quasi al punto da avere lo spazio per farci entrare tutte le dita della mano, pollice escluso, quasi come se si trattasse di una sega! Questo perché in epoca barocca gli archetti avevano le forme più varie e gli odierni musicisti "filologi" non sono da meno.
Naturalmente diverso è il suono, influenzato ovviamente dalle caratteristiche della sala (il Dal Verme ha un suono molto “asciutto”) risente però molto di più delle caratteristiche degli strumenti (in particolare delle corde: in budello per gli “antichi”) e del più basso diapason di riferimento, col risultato che I Pomeriggi hanno un suono meno “caldo”.
A questo si aggiunga che la Suite n.3 BWV 1068, rispetto alle due ascoltate che la precedono nella numerazione, è prevista per una formazione orchestrale più sonora: arricchita com’è anche da trombe e timpani.
Da notare che l’Aria, il suo celeberrimo movimento universalmente conosciuto in innumerevoli arrangiamenti come Aria sulla quarta corda, è qui proposto in una originale veste derivata da una diversa fonte (il manoscritto del 1730 conservato alla Biblioteca di stato di Berlino) rispetto a quella che più spesso viene suonata.
Segue in scaletta il Concerto Brandeburghese n.3 in sol maggiore, BWV1048. Destinato ai soli archi, suddivisi in tre gruppi di tre elementi ciascuno, con contrabbasso e clavicembalo per il basso continuo (foto a lato), è un alto esercizio di sfruttamento delle sfumature timbriche di questa unica sezione orchestrale in una scrittura serrata di natura polifonica nella quale l’orecchio musicale più attento riconosce almeno due rimandi. L’Allegro iniziale, che sarà riutilizzato nella Sinfonia della Cantata BWV 174, e l’Allegro conclusivo, per il quale invece Bach recupera materiale dalla Pastorale in fa maggiore per organo BWV 590.
Il suo elemento caratterizzante risulta così essere la parità di importanza tra gli strumenti e l’assenza di episodi solistici alternati a momenti d'insieme o del trattamento "concertante" di coppie di strumenti.
Anche la stessa struttura della composizione è originale rispetto agli altri concerti della serie: con l’Adagio che è solo una sorta di breve collegamento con due accordi fra il primo e l’ultimo movimento: a sua volta diviso in due parti come le arcaiche "sonate da chiesa".
Al figlio “degenere” di Johann Sebastian Bach, che si firma P.D.Q. Bach, si deve, invece, la seconda parte del programma: il Concerto per due pianoforti contro l’orchestra. Come evidente dal titolo del brano naturalmente non si tratta di musica risalente all’epoca barocca ma del “gioco” ironico del compositore statunitense Peter Schickele (1935) che si è divertito a comporre, rifacendosi allo “stile antico” ma arricchendolo di bizzarrie (come vedremo non solo musicali), un concerto attraverso il quale farsi beffe dei cosiddetti “barocchisti”.
Sotto il profilo compositivo i musicisti in sala apprezzano sottigliezze quali cadenze mai concluse o citazioni da concerti di Beethoven, fino all’accenno, nel finale, all’assolo di clarinetto che da il via alla Rapsodia in blu di George Gershwin, questo naturalmente riconosciuto da tutti.
Non sappiamo invece come considerare il “contorno” suggerito dall’autore e nel quale sono coinvolti direttore, orchestra ed i due solisti ai pianoforti: il romeno-tedesco Herbert Schuch e la turca Gülru Ensari.
Allo scopo di “desacralizzare” il repertorio dei numi dell’Olimpo della "Musica", Schickele, non sappiamo se esplicitamente in partitura o lasciando libertà agli “interpreti”, prevede la messa in scena di tutta una serie di buffe scenette che, a partire dal primo movimento "Shake Allegro", ricordano molto da vicino il teatrino fra direttore ed orchestrali che si svolge ogni anno sulla colonna sonora delle musiche della famiglia Strauss nella sala dorata del Musikverein di Vienna durante il Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker.
Tuttavia, fuori da quel contesto d’altri tempi, quel che vorrebbe essere comico a noi sembra un po’ stucchevole.
Certo, fra il pubblico si sorride già dal momento in cui, appena presentatisi al proscenio, la pianista raddrizza il papillon rosso del suo collega.
Si compiange come un “ridolini” il direttore, costretto a richiamare con stentorei “Nooo!” il primo volino che attacca sempre anzitempo o i colpi di grancassa fuori luogo.
Si compatisce il trombettista che si tappa le orecchie con le mani perché assordato dai tromboni alle sue spalle.
E si parteggia per i pianisti quando tutto attorno non solo ci si distrae ma, mentre loro suonano ed invano invitano gli orchestrali al silenzio, ci si dedica ad altro disturbandone la concentrazione: primi fra tutti i violisti, che ostentano indifferenza e si mostrano intenti alla lettura di un quotidiano sfogliandone ripetutamente, e rumorosamente, le pagine.
Infine, dove andrà il percussionista che lascia la sua postazione dietro l’orchestra con le scarpe in mano (dal suono che ne trae si riveleranno poi essere scarpe da tip tap)?
Non c’è da stupirsi, dunque, se anche i solisti si lasciano prendere la mano: la donna si infila improbabili occhiali da sole da “vamp” con la montatura di lustrini, entrambi interrompono il concerto fermandosi indecisi su chi debba eseguire un particolare passaggio e giocandosi a testa e croce, con una moneta chiesta in prestito al direttore (che non manca di farsela rendere indietro!), a chi spetti ricominciare il movimento successivo (e chi ha vinto? Boh!), ed ancora l’uomo risponde al telefonino e si allontana dallo strumento risalendo fra il pubblico per poter intessere una pacifica conversazione, senza essere disturbato dal suono dell’orchestra, finché la sua collega lo richiama all’ordine.
Completano la carrellata di sciocchezze una teatrale caduta del pianista dal seggiolino, per essere finito a diteggiare sulla cassa dello strumento una scala discendente alla quale non bastano i suoni più gravi della tastiera…
Problema condiviso (senza caduta) dalla sua dirimpettaia, così i due si trovano costretti ad una corsetta che ha per traguardo uno scambio di posto sui rispettivi pianoforti, dopo la loro "circumnavigazione".
Che dire? Non sono simili facezie che faranno passare questo concerto alla storia, qualora ne avesse i requisiti musicali. Di sicuro agli occhi, più che alle orecchie, del pubblico rendono ammirevoli i musicisti che riescono a suonare nonostante tutte queste azioni sceniche non siano certo di aiuto alla concentrazione.
In definitiva, però, forse tutto questo un senso ed un valore educativo li ha: proprio come una forma di contrappasso nei confronti del pubblico fra il quale troppo spesso si trovano troppi artefici di analoghe intemperanze, non meno fastidiose… per i musicisti e per gli altri spettatori.
A riportare serietà in sala provvedono gli stessi pianisti proponendo come bis, eseguito a 4 mani (messe anche sulle corde all'interno della cassa e non solo sulla tastiera!), una danza molto significativa anche sotto il profilo umano: essendone autore un compositore turco (di cui non siamo riusciti a cogliere il nome) di origine armena, che unisce dunque nella sua persona due nazioni che con difficoltà cercano di superare le tragedie del Novecento che le hanno viste protagoniste, rispettivamente come persecutrice e come vittima.