Il cognome Bach è protagonista della nostra seconda giornata di MiTo 2016: fra le imbottiture e sulle ringhiere che abbracciano i musicisti al centro della struttura a semicerchio del Piccolo Melato, dove ritroviamo i volti noti degli appassionati di musica antica.
A proporre raffronti fra il sommo Johann Sebastian (1685 - 1750) e tre dei suoi 20 figli è l’Accademia Montis Regalis, diretta da Alessandro De Marchi.
Quella dei Bach, alla nascita di Johann Sebastian, è una famiglia dedita alla musica da almeno quattro generazioni, e naturalmente lui prosegue la tradizione di questa stirpe di compositori giustificando la fama imperitura di tale cognome nella storia.
Il suo lavoro di “artigiano” della musica forgia la definizione stilistica del Barocco facendo sintesi fra la tradizione tedesca e la musica dei compositori italiani, primo fra gli altri Vivaldi (1678-1741), di cui trascrisse diverse opere.
Ne sono emblematiche le sue due suites in programma: la n.1 in do maggiore BWV 1066 e la n.2 in si minore BWV 1067, composte negli anni in cui si dedicò in prevalenza alla musica strumentale.
Fra il 1717-1720, infatti, Bach era a servizio come maestro di cappella, o meglio, direttore di musica da camera a Cöthen, alla corte del principe Leopoldo, anch’egli musicista e suo grande estimatore.
Strutturate in un’introduzione (ouverture) seguita da una serie di danze, dimostrano uno stile maturo, ricco e fiorito, capace di dare coesione all’insieme seppure nell’autonomia ritmica di ogni movimento.
Nella prima suite, eseguita a chiusura della prima parte del concerto, al centro della formazione orchestrale (8 violini, 2 viole, fagotto e basso continuo: 2 violoncelli, contrabbasso e clavicembalo) sono 2 oboi, in serrato confronto col fagotto di cui si apprezzano alcune punteggiature virtuosistiche nella Bourrée e nel Passepied. Nella seconda, proposta come ultimo brano in programma, sono protagoniste le vertiginose acrobazie strumentali del flauto culminanti nella celeberrima Badinerie: ripresa anche come bis per l’entusiasmo del pubblico fra il quale, in prima fila, la fagottista che gli aveva lasciato il posto in orchestra.
Se la musica di Bach padre è arcinota, di meno frequente ascolto, almeno per il grande pubblico, è quella dei figli. In questo concerto dedicato alla musica di “Casa Bach”, MiTo 2016 ci fa conoscere tre di essi.
I primi due li ebbe, con altri cinque, dalla prima moglie: Maria Barbara.
Figli di epoche diverse, sono alla ricerca di uno stile nuovo - che sarà più tardi quello classico di Haydn, Mozart e Beethoven - e di una nuova forma musicale, individuata nella sinfonia.
Apre dunque la “disfida” familiare Carl Philipp Emanuel (1714 - 1788), fra i figli di Johann Sebastian il più musicalmente dotato. Artista stimato dai capisaldi della storia della musica appena sopra citati, non avrà discendenza musicale. Nella Sinfonia in do maggiore Wq 182/3 in programma apprezziamo il quasi vivaldiano trattamento degli archi nell’Allegro assai iniziale, una sorta di turbinio di venti che si placano nelle calme radure nell’Adagio dove più ci sembra di cogliere il suo stile fatto di languori che preludono al romanticismo.
Lo segue il fratello più anziano: Wilhelm Friedemann (1710 - 1784). Anche la sua Sinfonia in fa maggiore F. 67 è una ricerca di novità, anche armoniche, alle quali deve l’appellativo che la accompagna: “Dissonant”. Solenne, ma un po’ rigida, nel Vivace iniziale, vaga armonicamente nell’Andante alleggerendosi nel successivo Vivace che sembra concludere il brano, ingannando anche il pubblico che applaude anzitempo, ed invece è seguito da due graziosi Minuetti.
Con un salto temporale in avanti di una ventina d’anni incontriamo, all’inizio della seconda sezione del concerto, Johann Christoph Friedrich (1732-1795), nato dal secondo matrimonio di Johann Sebastian con la soprano Anna Magdalena Wilcke (1701 – 1760), celebrato a Cöthen il 3 dicembre 1721, diciassette mesi dopo la morte di Maria Barbara. Tra il 1723 e il 1742 Anna Magdalena e Johann Sebastian ebbero tredici figli, sette dei quali morirono in giovane età. Tra i sopravvissuti fu dunque Johann Christoph Friedrich al quale gli storici della musica riconoscono un talento artistico inferiore rispetto a quello dei suoi fratelli ma che, tuttavia, si fa particolarmente apprezzare nei due movimenti estremi della sua Sinfonia in re minore HW I/3: rispettivamente per l’incisività “aggressiva” dell'Allegro iniziale e per l’imperioso respiro ritmico dell'Allegro assai conclusivo.