Un "vecchio" brano tratto da Umano e disumano di Remo Cantoni, Istituto Editoriale Italiano, Milano 1959.
La nostra società diviene, ogni giorno di più, tecnica, industriale, burocratica, corale, e i modi e gli ideali individualistici di vita sono o sembrano in via di consunzione, logorati dalla critica delle cose stesse più che dalle idee. Il fenomeno attraversa l'intero pianeta, non è russo o americano, non appartiene in modo specifico ad alcun sistema politico o economico, ma è prodotto di una rivoluzione tecnologica che sta creando nuovi tipi umani, nuovi modi di comportamento, nuove abitudini e nuovi ideali. L'uomo del mondo liberale teneva ad affermare la propria originalità, a emergere dal gruppo in virtù di proprie iniziative coraggiose, e considerava normale un regime di lotta e di concorrenza nel quale le virtù personali avessero possibilità di svettare. L'uomo americano d'oggi - stando a quanto ci riferisce, ad esempio, il sociologo americano David Riesman (cfr. La folla solitaria, 1956) - non è più l'individualista autodiretto dell'era borghese, ma l'uomo eterodiretto, prontamente conformato alle regole e alle esigenze del gruppo. L'uomo eterodiretto, secondo l'immaginosa terminologia di Riesman, è munito di un apparecchio «radar» che gli consente di avvertire le posizioni degli altri e di seguire la loro rotta; egli si ridimensiona di continuo non per cambiare gli altri, ma per assomigliare ad essi; la sua esigenza più forte è quella di adattarsi e conformarsi al gruppo per ottenere l'approvazione. La cosa che più spaventa l'americano odierno è l'isolamento, la mancanza di adjustement, la riprovazione del gruppo. L'importante analisi di david Riesman rivela già nel titolo una preoccupazione morale, una sensibilità turbata dalle possibili conseguenze della eterodirezione assunta come regime psicologico e sociologico delle nuove generazioni. La sua diagnosi è il risultato di una inchiesta condotta nello spazio americano ove ha luogo quella terza rivoluzione industriale che porta la società «dalla frontiera della produzione alla frontiera del consumo». Ma oggi le aree industriali e culturali tendono a divenire intercomunicanti, e il discorso di Riesman interessa e coinvolge in misura sempre maggiore anche culture industriali di altri paesi.
«Il nuovo carattere eterodiretto» ha scritto il presentatore italiano dell'opera di Riesman «mostra un uomo apparentemente riconciliato col mondo, che misura il successo nell'approvazione dei suoi simili, che valuta lo sforzo non in quanto può vincere una resistenza, ma nella misura in cui promuove una collaborazione: l'individuo tende solo all'armonia con se stesso e con la società, a eliminare ogni tensione e differenza. Ma dietro questa riconciliazione con la realtà, questa scoperta della razionalità del reale, si palesa un'altra estraneazione dell'uomo: scompare il contrasto fra privato e pubblico, perche il primo e diventato una semplice apparenza del secondo, perché l'essere coincide col sembrare nel superconformismo realizzato da una cultura di massa».
L'uomo eterodiretto sarebbe una specie di commesso viaggiatore che dà sempre ragione al cliente e mistifica se stesso. «Un commesso viaggiatore che in realtà si trova poi solo e disarmato di fronte ai problemi del sesso e della morte, nell'astrattezza dei quali prende la rivincita la sua impoverita individualità. E quando il successo coincide con l'approvazione, perche sono gli altri e non la coscienza a decidere, quando il mondo oggettivo si sfalda ed è ridotto alla sua apparenza, perche sono i giudizi degli altri a dargli una consistenza, restano solo le parole, un consumo enorme di parole scaricato di ogni significato reale e l'anonima tirannia del conformismo dispone dell'esistenza quotidiana dell'uomo».
Certo i pericoli per l'uomo eterodiretto son proprio in un eccesso di condiscendenza, in una mancanza di emotività e di fantasia, in una precarietà di vita e di espressioni personali. Egli rischia di trasformarsi in un uomo generico, incapace di generose ribellioni, troppo duttile e malleabile, troppo adattato al mondo. Non a caso il Riesman paragona il nuovo tipo eterodiretto a un personaggio di Anna Karenìna a quel Stepan Arkadjevic Oblònskij di cui Tolstoj ha scritto: «Stepan Arkadjevic leggeva un giornale liberale, non di estrema, ma che difendeva i punti di vista sostenuti dalla maggioranza. E, nonostante che scienza, arte e politica non avessero particolare importanza per lui, mantenne con fermezza le idee della maggioranza e del suo giornale su ogni punto, cambiandole solo quando la maggioranza le cambiasse, o più precisamente, egli non le cambiò, ma esse, impercettibilmente, si cambiarono da sé dentro di lui. Stepan Arkadjevic non aveva scelto le sue opinioni politiche e le sue idee; queste opinioni politiche e queste idee gli erano venute da se stesse, proprio come egli non aveva scelto la foggia dei suoi cappelli o delle sue giacche, ma semplicemente aveva preso quelle che usavano».
La persona eterodiretta è scarsamente attenta ai propri sentimenti e alle proprie aspirazioni, non vuole differenziate se stessa e le esperienze che vive, si illude di mitigare la solitudine in una folla di pari, e perde così la propria autonomia e la propria libertà sociale. Il fenomeno dell'uomo eterodiretto tende a diffondersi su scala planetaria, come abbiamo veduto; è americano, ma e anche russo, e neppure l'Europa vi si sottrae. Tra società americana e società russa esistono, certo, differenze profonde, e radicali, ma sotto la superficie diversa, rotta la crosta, si intravedono molti aspetti convergenti. E quando si parla di una civiltà occidentale rimasta fedele al costume e alla tradizione dell'individualismo si rischia di rimanere ingannati da parole fruste e di fare ricorso a un mito morale, ancora vivo nel cuore di molti uomini, ma ogni giorno meno in armonia col carattere collettivizzato che sta via via assumendo la nostra vita quotidiana. Mentre il controllo delle organizzazioni sugli individui si intensifica, gli individui stessi tendono automaticamente a modellarsi secondo i paradigmi sociali di eterodirezione rinunciando ad essere personalità autonome liberamente creatrici. Anche in epoche passate l'individualità eterodiretta incontrava la resistenza del conformismo sociale e doveva spesso affrontare l'incomprensione, lo scherno o, addirittura, la persecuzione, il carcere, o la morte; essa riusciva tuttavia, pur tra molte avversità, ad elevare la propria voce e a svolgere la propria opera. Nella superorganizzata società contemporanea le tecniche di avvilimento e repressione della personalità sono così sviluppate che l'individuo sgradito al gruppo egemonico non può dare al proprio pensiero e alla propria azione nessuna consistenza storica e spesso egli non riesce neppure ad uscire dall'ambito della propria sfera privata. Gli stati moderni, dotati di poteri economici, burocratici, industriali e militari sconosciuti agli stati antichi, tendono tutti, per destino storico, a trasformarsi, con maggiore o minore rapidità, in stati di tipo quasi totalitario. L'individuo, anche se fortemente dotato, non può oggi emergere se non si inserisce in un gruppo fornito di potere, se non fa parte di un'organizzazione bene accreditata, se non partecipa a un importante team-work rispettandone le regole.
Chi guarda le cose dal di fuori può avere l'illusione che il mondo liberale e il suo regime di libera concorrenza siano rimasti intatti e che le forti personalità siano tuttora autonome e spontanee nei loro moti. In realtà gli stessi uomini della politica e dell'industria — quelli che detengono i più vasti poteri — sono condizionati dalla struttura delle forze sociali ed economiche in gioco. Perfino la scienza, la cultura e l'arte subiscono oggi la pressione dei gruppi organizzati entro i quali sono chiamate ad operare, se non vogliono condannare se stesse al silenzio, alla sterilità, all'inefficienza. La struttura industriale, tecnica e burocratica della vita moderna è una forza immensa da cui non e dato prescindere. Essa può, in qualsiasi momento, schiacciare l'incauto che si avventuri in una impari lotta contro la potenza degli interessi coalizzati e organizzati. Per questo motivo l'uomo moderno teme l'isolamento e cerca, in ogni modo, di vivere nella tutela del gruppo. Questa vita sotto tutela, eterodiretta, offre conforti materiali e psicologici. Ma l'individuo paga la sicurezza con la perdita probabile dell'originalità e dell'autonomia. La maggior parte degli uomini paga volentieri il prezzo richiesto perche ha ben poco da perdere nel cambio. Le minoranze non-conformistiche, autodirette, soffrono e deperiscono in un mondo che si avvia all'uniformità, alla disciplina e al controllo.
La democrazia è un processo irreversibile e benefico, ma in essa possono sorgere minacce gravi per l'iniziativa dei singoli, soverchiati dalla potenza delle organizzazioni. Non è pensabile la restaurazione di una società senza controlli o senza limiti. Tale società in fondo non e mai esistita. E una libertà di tipo meramente anarchico, senza rinuncie e senza discipline, e soltanto libertà negativa, libertà da, non libertà per, ossia libertà che degenera e traligna senza essere elemento costruttivo di un ordine umano. Occorre, peraltro, raggiungere un equilibrio: troppo poca libertà significa conformismo, ristagno, anonimia; troppa libertà significa caos, anarchia, disordine. Questo equilibrio non è facile da instaurare, ne può essere formulato in termini aprioristici una volta per sempre. Le situazioni stesse richiedono soluzioni ogni volta nuove. Le vecchie soluzioni individualistiche e «autodirette» con il loro retaggio di esasperata autocritica, di emotività, di princìpi astratti e interiorizzati, non messi a confronto con le novità e le rivoluzioni dell'esperienza non sono, certo, accettabili in un mondo che incessantemente muta ed ha bisogno, per essere controllato e dominato, di un lavoro organizzato di gruppi pronti alla coopcrazione e alla solidarietà. Le critiche all'uomo eterodiretto sono pertanto giuste nella misura in cui mettono in evidenza l'anonimia e il conformismo di una vita che si vive per procura e non in proprio. Esse passano invece il segno quando contrappongono moralisticamente all'uomo nuovo che si inserisce costruttivamente in un gruppo l'uomo antico chiuso in un proprio solitario mito. La coscienza individuale per sopravvivere in forme non atrofiche e destorificate, ossia arcaiche, deve entrare in dialogo con l'esperienza intersoggettiva, con lo «spirito obiettivo» che non è soltanto anonimia, conformismo e negazione dei valori personali. Ogni polemica massiccia e globale contro le tendenze della società moderna pone il critico nell'atteggiamento del moralista corrucciato che si isola da quei processi ai quali è utile e doveroso partecipare per non trasformarsi in un risentito laudator temporis acti. L'uomo «eterodiretto», la «folla solitaria» hanno in se qualcosa di freddo e disumano. Non sembra possibile vivere con una personalità mutevole che appartiene più al gruppo che al singolo. Ma questa è la situazione psicologica e sociale nella quale si trova l'uomo contemporaneo già oggi. E il processo sembra destinato ad aggravarsi in un prossimo futuro.
Le vie d'uscita non possono essere cercate invocando astrattamente i valori della tradizione o i moniti della coscienza. Il problema è quello di fruire dei vantaggi della cooperazione sociale e del reciproco controllo senza rinunciare ai valori di creatività e spontaneità che sono il contributo specifico della persona umana. Gli inconvenienti prodotti dalla rivoluzione industriale moderna, dal macchinismo, dall'automatismo sono inconvenienti eliminabili perche nessuna situazione storica e in se bloccata o fatale. Tra i compiti di una filosofia umanistica stanno in primo piano la lotta contro l'impoverimento della personalità e contro l'obliterazione del pensiero critico.
Molto bene ha scritto G. Friedmann nel suo libro Dove va il lavoro umano?: «Quanto alle piccole e grandi paure del nostro tempo, non bisogna dimenticare che le rivoluzioni industriali, versioni moderne dell'avventura di Prometeo, non hanno più di centocinquant'anni. In realtà, la distruzione e l'anarchia che ci affliggono non costituiscono, in una prospettiva storica, che le prime scaramucce del genere umano che affronta il nuovo ambiente. La vittoria e certa, se esso saprà lucidamente spiegare le sue forze nella battaglia, mobilitando ogni risorsa intellettuale e morale, se saprà associare alle trasformazioni collettive le non meno necessarie prese di posizione della coscienza individuale. Il progresso tecnico rimane più che mai, per l'umanità, l'unica via per sopravvivere e svilupparsi».